Di recente l’Istituto Scalcerle di Padova ha deciso di premiare con un bonus di 100 euro gli studenti con una media alta, non inferiore al 9. Non si tratta di una vera novità, già in precedenza l’utilizzo di “premi” volti ad incentivare la performance scolastica ha lasciato spazio a molti dubbi sulla sua effettiva efficacia, in particolare sul rischio che questo tipo di iniziative possa creare maggiori divari e dare più opportunità a chi già è avvantaggiato.
Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova, figura di riferimento internazionale nel campo della psicologia dell’apprendimento è stata interrogata in merito a questa iniziativa. “Con la ricompensa non si nutrono le emozioni o l’intelligenza. I soldi o i follower sono un rinforzo estrinseco: ti dicono di correre per avere la carota. I rinforzi estrinseci sono una forma elementare di gestione della motivazione e non sono sufficienti. Anzi, rischiano di essere dannosi perché si sostituiscono alla motivazione intrinseca: il piacere dell’apprendimento, la condivisione dello sforzo con chi ti sta aiutando, l’insegnante. Il beneficio genera un’illusione, che il bene – il denaro, i follower, la soddisfazione stessa – sia fuori di noi, invece il desiderio deve essere dentro di noi. Altrimenti si crea una dipendenza da altro e non si educa ma si indebolisce”.
Più in generale la Psicologa ha sottolineato come “non va bene l’ingozzamento cognitivo. Da almeno 8 anni i dati scientifici ci dicono che questo provoca un fenomeno di malessere psichico, una sorta di ‘mal di scuola’, con sintomi perfettamente riconoscibili nella maggior parte dei ragazzi: demotivazione, ansia, paura, rabbia, insoddisfazione, noia, disistima, tutte situazioni di allerta per il nostro cervello. La variabile cognitiva che alimenta questo malessere sta proprio nell’obesità informazione: informazioni su informazioni come se questo potesse ampliare lo spazio del pensare e dell’intelligenza. Invece crea solo fattori di allerta, rischio, abbandono, assenza di passione e desiderio I nostri studenti dicono basta perché sono saturi. Non possiamo proporre una scuola che aumenta all’infinito il numero di informazioni”.
“Il punto è che non sappiamo motivare i ragazzi al desiderio del sapere come fonte di autodeterminazione perché utilizziamo la verifica e il giudizio come costante ed unico riferimento: nessun adulto accetterebbe mai di essere sottoposto a costante giudizio nel suo lavoro o in qualsiasi altra parte della vita. La valutazione formativa è un processo educativo. Il giudizio prestazionale continuo è tutt’altra cosa e genera, appunto, un allerta continuo per tutti, bambini e adulti, docenti compresi. Non è questa l’idea di scuola che può potenziare lo sviluppo migliore di ciascuno”.
La sua riflessione finale è che “Il modello in cui io insegno, tu apprendi, io verifico, non va bene. La rappresentazione di questo modello è la scatola cognitiva che cerca di mantenere quanto più fedelmente possibile le informazioni date, come fossero messe in frigorifero: più le ripeti identiche, più sei bravo. La risposta cognitiva è evidentemente l’apprendimento passivo. Nulla a che vedere con la capacità di nutrire i processi intelligenti, un flusso interattivo che mette in gioco non solo l’informazione data, ma intercetta anche quello che il giovane sa, le sue mappe cognitive – che comprendono anche gli errori – e la risposta che torna indietro è così arricchita di informazioni ed emozioni. Il suo capire e sentire”