Autore: alec7923

  • Un videogioco che individua l’ADHD

    L’ADHD (Disturbo da deficit di attenzione/iperattività) è un disturbo dell’attenzione comune che colpisce circa il 6% dei bambini di tutto il mondo. Nonostante gli sforzi compiuti dalla, la diagnosi di ADHD si basa ancora su questionari, interviste e osservazione soggettiva. I risultati possono essere ambigui e i test comportamentali standard non rivelano come i bambini gestiscono le situazioni quotidiane. Recentemente, un team composto da ricercatori della Aalto University, dell’Università di Helsinki e della Åbo Akademi University ha sviluppato un gioco di realtà virtuale chiamato EPELI che può essere utilizzato per valutare i sintomi dell’ADHD nei bambini simulando situazioni della vita quotidiana. I ricercatori hanno monitorato i movimenti oculari dei bambini durante il gioco e questo si è rivelato un modo efficace per rilevare i sintomi dell’ADHD. Lo sguardo dei bambini con ADHD si è fermato più a lungo su diversi oggetti nell’ambiente e il loro sguardo è saltato più velocemente e più spesso da un punto all’altro. Ciò potrebbe indicare un ritardo nello sviluppo del sistema visivo e un’elaborazione delle informazioni più scarsa rispetto ad altri bambini.

  • Impariamo parlando con gli sconosciuti

    Parlare con gli altri può essere un’utile fonte di apprendimento praticamente su qualsiasi argomento. Le informazioni scambiate attraverso la conversazione sono fondamentali per la cultura e la società, poiché parlare con gli altri comunica norme, crea comprensione condivisa, trasmette moralità, condivide conoscenze, fornisce prospettive diverse e altro ancora. Eppure scopriamo che le persone sottovalutano sistematicamente ciò che potrebbero imparare durante una conversazione, anticipando che impareranno meno di quanto effettivamente imparino. In un lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista PNAS gli studiosi suggeriscono che le persone possono sistematicamente sottovalutare il beneficio informativo della conversazione, creando una barriera al parlare con gli altri nella vita quotidiana. I partecipanti a cui è stato chiesto di parlare con un’altra persona si aspettavano di imparare molto meno dalla conversazione di quanto effettivamente hanno riferito di aver appreso in seguito (Exp 1-2). La sottovalutazione della conversazione non deriva dall’avere opinioni negative su quanto gli altri sanno (Esp 3), ma è invece correlata all’incertezza intrinseca nella conversazione stessa. Di conseguenza, le persone sottovalutano l’apprendimento in misura minore quando l’incertezza è ridotta, come in un contesto non sociale (navigazione sul web, Esp 4), quando si parla con un interlocutore conosciuto (Esp 5) e dopo aver conosciuto il contenuto della conversazione (Esp 6).

  • I capelli dei neonati come biomarker dell’autismo

    Le cause dell’autismo rimangono misteriose. I ricercatori hanno scoperto una miriade di fattori di rischio associati all’autismo, comprese le infezioni durante la gravidanza, l’inquinamento atmosferico e lo stress materno. Ad esso è stato associato anche un certo inquinamento da metalli, noto per causare problemi di sviluppo neurologico. I nostri capelli catalogano una storia di esposizioni a metalli e altre sostanze e secondo una recente ricerca una ciocca di capelli può aiutare i medici a identificare l’autismo con un grado di precisione di circa l’81%. Una ricerca pubblicata sul Journal of Clinical Medicine propone una tecnica che utilizza un algoritmo per trovare nei capelli tracce di metalli particolari che i ricercatori affermano essere associati all’autismo. In particolare un solo centimetro di capelli cattura circa un mese di dati sull’esposizione a metalli nocivi e col trascorrere dei mesi può rivelare una precisa storia di esposizione a biomarcatori dell’autismo. I ricercatori confidano che la loro tecnologia possa aiutare i bambini piccoli e neonati, a ricevere interventi precoci per l’autismo, ben prima della diagnosi attuale che avviene in media a 4 anni d’età.

  • 4 sensi di colpa che fanno male alle nostre relazioni

    Essere afflitti dal senso di colpa può consumare, se non erodere, la qualità di una relazione. Un concetto psicologico chiamato “senso di colpa da responsabilità onnipotente” potrebbe spiegare la sensazione cronica di dover fare sempre di più per il proprio partner. Secondo un nuovo studio dell’Università di Roma questa colpa da responsabilità onnipotente è una intima convinzione di potere/dovere rendere felici gli altri spesso tralasciando i propri bisogni. Gli altre tre sensi di colpa includono il senso di colpa del sopravvissuto (credere che non dovresti fare meglio di qualcun altro), il senso di colpa per separazione/slealtà (credere che faresti del male agli altri lasciandoli) e l’odio verso te stesso (la convinzione di non essere degno di amore).

  • Disturbi alimentari: uno studio potrebbe aiutarci ad anticiparli

    Una ricerca condotta in Canada suggerisce un modo per identificare casi di disturbi alimentari un anno prima della loro diagnosi, consentendo ai pazienti di ricevere supporto in largo anticipo. I ricercatori hanno analizzato i dati sanitari di persone di età pari o superiore a 13 anni monitorando i loro livelli di elettroliti (minerali presenti nel nostro corpo, principalmente sodio, potassio, calcio e magnesio) per 12 anni. I risultati dello studio pubblicato su JAMA Network Open hanno mostrato che le persone con anomalie elettrolitiche avevano il quintuplo delle probabilità di essere diagnosticate con un disturbo alimentare, a volte con più di un anno di anticipo.

  • Stress, lavoro e burnout. Scegli quale fiammifero ti rappresenta

    Il burnout secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), è una sindrome derivante da stress cronico associato ad una cattiva gestione del contesto lavorativo. Il burnout lavorativo può portare a una riduzione della produttività, ad aumento generalizzato dello stress e persino al ricovero in ospedale. Una nuova ricerca dell’Università di Notre Dame pubblicata sul Journal of Applied Psychology offre un modo rapido e semplice per quantificare il rischio di burnout. Utilizzando una scala visiva a 6 o ad 8 intervalli i partecipanti erano invitati a indicare quale fiammifero rappresentasse il loro vissuto lavorativo. I risultati indicano che questa scala è in grado di individuare i predittori e le conseguenze del burnout lavorativo in modo intuitivo.

  • Valutare i disturbi specifici dell’apprendimento in tempi di pandemia

    I criteri per diagnosticare i disturbi specifici dell’apprendimento devono fare i conti con la realtà che si è venuta a creare durante la pandemia allo scopo di ridurre i rischi di una diagnosi errata o di ritardare gli interventi. Nuove ricerche evidenziano che l’interruzione del servizio scolastico ha coinciso con un aumento di alcuni disturbi (depressione ed ansia) e una riduzione dell’efficacia dell’apprendimento (in particolare per compiti di lettura e matematica). Leggi l’articolo completo qui.

  • Depressione da social. Uno studio condotto su bambini e ragazzi rivela un possibile legame

    Con la pandemia di COVID-19 l’uso dei social è aumentato sensibilmente tra bambini e adolescenti. Una recente review comparsa sull’International Journal of Environmental Research and Public Health e condotta da ricercatori Italiani, ha passato in rassegna 68 lavori scientifici rilevando che in 19 di essi era presente una correlazione tra depressione ed uso di social anche tra i più piccoli. Sono emerse anche altre conseguenze negative associate ad uso intensivo dei social che variano dall’ansia, ai problemi alimentari, ai distubi del sonno per arrivare al cyberbullismo.

  • Quando esordisce l’ansia? L’intelligenza artificiale ci aiuta a rispondere

    L’adolescenza rappresenta un periodo critico per l’insorgere di sintomi legati all’ansia. Tramite risonanza magnetica per immagini (MRI) è possibile rintracciare i correlati anatomici che predicono l’insorgere di questi sintomi durante l’adolescenza. In una ricerca pubblicata sulla rivista Molecular Psychiatry un team di ricercatori internazionali hanno utilizzato algoritmi di intelligenza artificiale scoprendo che è possibile predire l’insorgere dell’ansia con diversi anni d’anticipo in base al volume di due regioni del telencefalo (nucleo caudato e globo pallido).