Autore: marco

  • Per l’86% degli italiani lo psicologo a scuola è necessario

    Il benessere psicologico sta diventando una richiesta/necessità sempre più definita. Attraverso i risultati di una indagine promossa dal Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi questo bisogno trova una chiara traduzione nei numeri ma pone anche alcuni interrogativi su come la figura dello psicologo sia percepita dalla popolazione.

    Un italiano su dieci vorrebbe andare dallo psicologo, ma spesso rinuncia per motivi economici. Quasi uno su cinque (17%) si è rivolto alle cure di un esperto, una percentuale che rimane abbastanza simile tra uomini (16%) e donne (18%), ma che aumenta sensibilmente (25%) nella fascia di popolazione più giovane, quella dai 18 ai 35 anni. Si tratta di un dato che si riflette anche sul numero di psicologi e psichiatri in relazione alla popolazione che vede l’Italia a “centro classifica” con circa 18 professionisti del settore ogni 100000 abitanti.

    L’86% vorrebbe l’introduzione della figura dello psicologo a scuola e di recente il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara, annunciando l’arrivo nelle scuole superiori di tutor formati con 20 ore di lezioni in psicologia e pedagogia per dare sostegno agli studenti, ha detto che “si sta discutendo della possibilità di introdurre lo psicologo nelle scuole”.

    Ben l’89% ritiene che l’assistenza psicologica sia un diritto pubblico che deve essere accessibile a tutti gratuitamente attraverso il SSN. Circa il 50% degli intervistati si rivolgerebbe volentieri ad un esperto di fronte a problemi di natura psicologica ma una percentuale elevata, circa il 40%, ritiene di poterne prima parlare con persone care. La pandemia ha naturalmente inciso e per il 58% ha cambiato il rapporto delle persone con i problemi psicologici: si è più propensi a chiedere aiuto (26%), si parla più facilmente dei problemi psicologici per il 20%, con meno vergogna (20%) e si affrontano più apertamente (18%). Rispetto a un anno fa, però, il benessere psicologico è sensibilmente peggiorato (-15%), in egual misura tra uomini e donne, ma soprattutto nella fascia più produttiva sul lavoro, quella 35-54 anni (-23%). Tra le principali fonti di stress: la condizione economica (24%), la salute fisica (14%), l’aumento dei prezzi (13%), la situazione lavorativa (13%), l’organizzazione famiglia-lavoro (9%).

  • Sigmund Freud e la (ri)nascita del pensiero occidentale

    Sigmund Freud nasce il 6 maggio 1856 a Freiberg.
    Medico, neurologo e padre della psicoanalisi, Freud è una delle personalità più influenti della storia recente. A partire dall’amicizia con Wilhelm Fliess fino alla collaborazione con Jean-Martin Charcot relativamente alle teorie sull’ipnosi della Scuola della Salpêtrière, Freud intraprende un lavoro che lo porterà a ripensare i processi psichici. Forse le sue due grandi scoperte sono la sessualità infantile e l’inconscio ma imponente è il suo lavoro sull’interpretazione dei sogni. Il celebre libro terminato nel 1899, Die Traumdeutung (“L’interpretazione dei sogni”) uscì con la data dell’anno successivo, come a sancire l’inizio del nuovo secolo e traccia il percorso verso l’inconscio, indicato con un termine nuovo: Wunsch (“desiderio”). Il sogno ne rappresenta l’appagamento allucinatorio in cui coesistono un pensiero “latente” e uno “manifesto” prodotto dal primo per deformazione. Fondamentali i suoi contributi sullo sviluppo delle nevrosi, sull’isteria (emblematico il “caso Dora”) oltre alla formulazione di una rivoluzionaria tecnica terapeutica, il trattamento psicoanalitico.

    Freud ha riunito una generazione di psicoterapeuti che, passo dopo passo, hanno contribuito alla nascita della psicoanalisi, prima in Austria, Svizzera, Berlino, poi a Parigi, Londra e negli Stati Uniti. Nonostante le divisioni interne e le critiche, la psicoanalisi si affermò come una nuova disciplina delle scienze umane agli inizi del ‘900.

    Nel fondare la psicoanalisi Freud sviluppò tecniche terapeutiche come l’uso della libera associazione e scoprì il transfert, stabilendo il suo ruolo centrale nel processo analitico. La ridefinizione della sessualità operata da Freud in modo da includere le sue forme infantili lo portò a formulare il complesso di Edipo come principio centrale della teoria psicoanalitica. La sua analisi dei sogni come appagamento dei desideri gli fornì modelli per l’analisi clinica della formazione dei sintomi e dei sottostanti meccanismi di rimozione. Su questa base Freud elaborò la sua teoria dell’inconscio e sviluppò poi un modello di struttura psichica comprendente Es, Io e Super-io. Freud ha postulato l’esistenza della libido, energia sessualizzata di cui sono investiti i processi e le strutture mentali e che genera attaccamenti erotici, e una pulsione di morte, fonte di ripetizione compulsiva, odio, aggressività e senso di colpa nevrotico. Nella sua opera successiva Freud sviluppò un’interpretazione e una critica ad ampio raggio della religione e della cultura.

    Ad oggi l’approccio psicoanalitico appare indebolito come pratica diagnostica e clinica ma la psicoanalisi rimane influente all’interno della psicologia, della psichiatria e della psicoterapia e in tutte le discipline umanistiche. Continua così a generare un dibattito ampio e molto controverso riguardo alla sua efficacia terapeutica e al suo status scientifico. Di certo il lavoro di Freud ha pervaso e plasmato il pensiero occidentale contemporaneo e la cultura popolare.

  • E’ possibile insegnare ad essere felici?

    Da ormai qualche anno diverse prestigiose università statunitensi hanno attivato corsi di psicologia positiva. A Yale il corso di Psychology and the Good Life, introdotto nel 2018 da Laurie Santos, è il più popolare dell’ateneo ed è frequentato da quasi un iscritto su quattro. Il successo è tale che il corso (adattato) è anche online: si chiama «la Scienza del benessere», dura sei settimane ed è seguito (gratuitamente) da oltre 4 milioni di persone nel mondo. Quest’estate verrà lanciata online una versione per adolescenti, («The Science of Well-Being for Teens»), tra i più colpiti da ansia e depressione. Le ultime statistiche in America segnalano che il numero dei depressi è aumentato del 40%, la sensazione di ansia e solitudine del 66%, l’87% in più si sente sopraffatto dalla prestazione e cresce (+13%) il numero di chi considera seriamente il suicidio

    Fred Luskin, direttore dello Stanford Forgiveness Project, sostiene che attenuare la colpa di ciò che ci ha ferito, prendere meno sul personale le nostre esperienze di vita e vedere il costo del rancore siano un buon modo per nutrire la nostra felicità. La sua terapia del perdono del Progetto dell’Università di Stanford è stata sperimentata con successo con le vittime di violenza nell’Irlanda del Nord, in Sierra Leone e perfino con i sopravvissuti dell’attacco dell’11 Settembre.

    «Il perdono esiste in noi, perdoniamo non perché vogliamo accettare un comportamento orrendo, sbagliato, ma perché vogliamo avere accesso al nostro cuore. Ci diciamo: non è colpa mia. Ma più ci identifichiamo con questa affermazione, meno abbiamo accesso al nostro cuore. Il perdono è aprire il nostro cuore», sostiene Luskin.

    Luskin indica come possiamo lavorare su di noi e praticare la gratitudine e la compassione. « Senza perdono, non c’è futuro. Senza perdono, ripetiamo semplicemente il nostro passato. Il perdono non cancella la verità, ma ci riposiziona nel mondo dove siamo. Senza perdono non siamo aperti all’oggi, siamo bloccati nel nostro passato. Ogni volta che non perdoniamo e parliamo negativamente di una persona, contribuiamo alla sofferenza. E richiede grande coraggio interrompere quella sofferenza». Per guarire non dobbiamo nutrire il risentimento: «Siamo fatti per trattenerlo, per esprimerlo e poi lasciarlo andare. Conservate il ricordo, ma lasciate andare il dolore».

  • Il disagio psicologico giovanile aumenta ma non trova ascolto

    Il nostro Paese partecipa allo studio multicentrico HBSC (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute in ragazzi di età scolare), che prevede una raccolta dati ogni quattro anni. In questi giorni è stato reso noto il rapporto del 2022 coordinato dall’Istituto superiore di sanità insieme alle Università di Padova, Siena e Torino, con il supporto del Ministero della Salute, la collaborazione del Ministero dell’Istruzione e del Merito e tutte le Regioni e Aziende Sanitarie Locali.

    dalla relazione emerge come Il mondo dei ragazzi sia sempre più alle prese con gli effetti del bullismo, del cyberbullismo, dell’abuso dei social e dei videogame, dell’aumentare dei disturbi del comportamento alimentare oltre che crisi di agitazione psicomotoria e ansia. Tutto questo senza che famiglie e ragazzi trovino rapidamente un percorso di ascolto e assistenza nel Servizio sanitario pubblico.

    “Sul tema del disagio psicologico dei giovani mi pare che ci sia una difficoltà nel pensare alla risposta che, invece, è chiara: serve una risposta della psicologia, ma l’Italia non ha una psicologia pubblica, non si fa prevenzione e neanche promozione della salute. Chi può permetterselo si cura, chi non può non si cura, così siamo di fronte ad una ingiustizia sociale”. A sottolinearlo è David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale degli Ordini degli psicologi (Cnop). “Le terapie vanno messe lì dove serve e mi pare che la scuola sia uno dei luoghi in cui si può intercettare il disagio. Non dico di fare terapia psicologica scolastica, ma non dobbiamo neanche aspettare che i ragazzi si ammalino”.

    Lazzari sottolinea come “gli psicologi sono considerati un lusso. Allo stato attuale i cittadini che hanno un disagio psicologico, se lo tengono o si devono pagare la terapia. Ma su 10 che stanno male, due hanno un problema psichiatrico e 8 un disagio psicologico. Ebbene, a queste 8 non diamo nessuna risposta. I presidi delle scuole stanno chiedono di avere gli psicologi, ma nessuno risponde a questo appello. Sembra quasi un tabù – conclude – come se la cura dei problemi psicologici fosse riservata solo alle persone abbienti”

  • Denaro in cambio di bei voti, Lucangeli: “Con la ricompensa non si nutrono le emozioni o l’intelligenza”

    Di recente l’Istituto Scalcerle di Padova ha deciso di premiare con un bonus di 100 euro gli studenti con una media alta, non inferiore al 9. Non si tratta di una vera novità, già in precedenza l’utilizzo di “premi” volti ad incentivare la performance scolastica ha lasciato spazio a molti dubbi sulla sua effettiva efficacia, in particolare sul rischio che questo tipo di iniziative possa creare maggiori divari e dare più opportunità a chi già è avvantaggiato.
    Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello Sviluppo all’Università di Padova, figura di riferimento internazionale nel campo della psicologia dell’apprendimento è stata interrogata in merito a questa iniziativa. “Con la ricompensa non si nutrono le emozioni o l’intelligenza. I soldi o i follower sono un rinforzo estrinseco: ti dicono di correre per avere la carota. I rinforzi estrinseci sono una forma elementare di gestione della motivazione e non sono sufficienti. Anzi, rischiano di essere dannosi perché si sostituiscono alla motivazione intrinseca: il piacere dell’apprendimento, la condivisione dello sforzo con chi ti sta aiutando, l’insegnante. Il beneficio genera un’illusione, che il bene – il denaro, i follower, la soddisfazione stessa – sia fuori di noi, invece il desiderio deve essere dentro di noi. Altrimenti si crea una dipendenza da altro e non si educa ma si indebolisce”.

    Più in generale la Psicologa ha sottolineato come “non va bene l’ingozzamento cognitivo. Da almeno 8 anni i dati scientifici ci dicono che questo provoca un fenomeno di malessere psichico, una sorta di ‘mal di scuola’, con sintomi perfettamente riconoscibili nella maggior parte dei ragazzi: demotivazione, ansia, paura, rabbia, insoddisfazione, noia, disistima, tutte situazioni di allerta per il nostro cervello. La variabile cognitiva che alimenta questo malessere sta proprio nell’obesità informazione: informazioni su informazioni come se questo potesse ampliare lo spazio del pensare e dell’intelligenza. Invece crea solo fattori di allerta, rischio, abbandono, assenza di passione e desiderio I nostri studenti dicono basta perché sono saturi. Non possiamo proporre una scuola che aumenta all’infinito il numero di informazioni”.

    “Il punto è che non sappiamo motivare i ragazzi al desiderio del sapere come fonte di autodeterminazione perché utilizziamo la verifica e il giudizio come costante ed unico riferimento: nessun adulto accetterebbe mai di essere sottoposto a costante giudizio nel suo lavoro o in qualsiasi altra parte della vita. La valutazione formativa è un processo educativo. Il giudizio prestazionale continuo è tutt’altra cosa e genera, appunto, un allerta continuo per tutti, bambini e adulti, docenti compresi. Non è questa l’idea di scuola che può potenziare lo sviluppo migliore di ciascuno”.

    La sua riflessione finale è che “Il modello in cui io insegno, tu apprendi, io verifico, non va bene. La rappresentazione di questo modello è la scatola cognitiva che cerca di mantenere quanto più fedelmente possibile le informazioni date, come fossero messe in frigorifero: più le ripeti identiche, più sei bravo. La risposta cognitiva è evidentemente l’apprendimento passivo. Nulla a che vedere con la capacità di nutrire i processi intelligenti, un flusso interattivo che mette in gioco non solo l’informazione data, ma intercetta anche quello che il giovane sa, le sue mappe cognitive – che comprendono anche gli errori – e la risposta che torna indietro è così arricchita di informazioni ed emozioni. Il suo capire e sentire”

  • Sempre più ansia e stress tra gli adolescenti. L’importanza degli psicologi nelle scuole

    Sono sempre di più i casi di autolesionismo, disturbi d’ansia, disturbi dell’umore con ideazione suicidaria e tentativi di suicidio, disturbi della condotta alimentare e disturbi dello spettro somatoforme. E’ quanto emerge dall’incontro dal titolo “Salute mentale dei bambini e adolescenti: nuove emergenze”, che si è tenuto nell’Aula Magna dell’IRCCS Gaslini di Genova in cui sono stati presentati i dati dell’andamento dei ricoveri per patologie psichiatriche nell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ospedale pediatrico genovese. I dati mostrano un aumento esponenziale dei ricoveri per disturbi psichiatrici acuti negli adolescenti rispetto al periodo pre-Covid passati dai 72 casi del 2019 ai 270 del 2022 con un incremento dei pazienti di sesso femminile, passati dal 46% al 73%, e per un incremento della aggressività verso se stessi con numeri che sono letteralmente “esplosi”.
    Contestualmente la ministra dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini intervenendo all’apertura dell’anno accademico dell’Università Politecnica delle Marche ha parlato della necessità di predisporre presìdi permanenti, stabili, strutturali, psicologici, di sostegno agli studenti con i fondi che ci sono a disposizione facendo eco all’allarme lanciato nei giorni scorsi tramite la Rete degli studenti medi e l’Unione degli universitari che hanno avanzato alla Camera la richiesta di regolare e finanziare un servizio di assistenza psicologica, psicoterapeutica e di counselling scolastico e universitario, con personale professionista e che si interfacci con il servizio sanitario territoriale assicurando la presa in carico degli studenti che ne abbiano bisogno. Infine, secondo un altro studio “Dipendenze comportamentali nella Generazione Z”, frutto di un accordo tra il Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, presentato all’Iss, quasi 2 milioni di adolescenti in Italia presentano caratteristiche compatibili con una dipendenza comportamentale: 1,2 milioni di dipendenza dal cibo, quasi 500mila da videogiochi; circa 100mila da social media. Sono oltre 65 mila, invece, i ragazzi che fuggono dai rapporti sociali (il cosiddetto Hikikomori).

  • Philip George Zimbardo e il controverso esperimento carcerario di Stanford

    Nasceva oggi 23 Marzo 1933 Philip Zimbardo, Professore emerito a Stanford e autore di uno degli studi più discussi e popolari della psicologia sociale. Tra il 14 e il 21 Agosto 1971, un gruppo di 24 studenti universitari maschi sani fisicamente e mentalmente venne selezionato tra più di 70 volontari per partecipare a “uno studio psicologico sulla vita in prigione”. I partecipanti furono divisi casualmente in un numero uguale di guardie e prigionieri; le guardie, vestite con uniformi appositamente per promuovere un processo di deindividuazione, provviste di occhiali da sole a specchio che impedivano qualsiasi contatto visivo e di un manganello, ricevettero istruzioni per impedire la fuga dei prigionieri che, a loro volta, dopo essere stati “arrestati” dalla vera polizia di Palo Alto, indossavano un’uniforme con numero identificativo e una catena alla caviglia destra. I partecipanti entrarono talmente bene nei rispettivi ruoli che la prigione finta fini col tramutarsi rapidamente in una prigione vera e dopo soli due giorni dall’inizio dell’esperimento erano già numerosi gli episodi di violenza tanto da portare i prigionieri a tentare un’evasione. Nei giorni successivi le guarde divennero sempre più sadiche mentre i prigionieri, ormai mentalmente disgregati, apparivano docili e rassegnati. Trascorsi 5 giorni una equipe di psicologi colleghi di Zimbardo visitò il sito dell’esperimento e rimase sconvolta nel vedere come si stavano comportando i partecipanti. Il sesto giorno Zimbardo fu sostanzialmente costretto a porre fine allo studio. Philip Zimbardo concluse la ricerca affermando l’importanza dell’ambiente nel determinare le condotte individuali (e quelle aggressive in particolare) rispetto a fattori endogeni ma l’intera ricerca venne aspramente criticata dal punto di vista metodologico e le osservazioni tratte dagli sperimentatori furono etichettate come soggettive e aneddotiche. L’esperimento carcerario di Stanford ad oggi è uno degli studi più controversi ed eticamente discutibili della storia della psicologia. Basti pensare che il danno inflitto ai partecipanti ha spinto le università di tutto il mondo a migliorare i requisiti etici per i soggetti umani osservati negli esperimenti per evitare che subiscano danni simili.

  • Prof. Jason Arday, autistico con cattedra a Cambridge…

    Secondo i medici avrebbe avuto bisogno di “sostegni per tutta la vita” ma Jason Arday, 37 anni, a suon di pubblicazioni e studi li ha completamente smentiti. Affetto da autismo e, da bambino, diagnosticato con ritardo nello sviluppo, Jason a partire dal prossimo 6 marzo sarà titolare della cattedra di Sociologia dell’educazione. In un tempo non troppo lontano da oggi, lavorava part-time nella catena di supermercati Sainsbury. Fino all’età di 11 anni non sapeva parlare e ha iniziato a scrivere solo dopo la maggiore età, nato a Clapham (Londra Sud) insieme ad altri tre fratelli, prima di allora usava il linguaggio dei segni per comunicare. Poi la Laurea in educazione fisica e studi sull’educazione, all’Università del Surrey, e il dottorato di ricerca. Arday, intervistato dal Guardian, conclude con un invito: “Le parole non servono a niente, contano i fatti, c’è ancora tanto fare, ma la mia storia dimostra che niente è impossibile”.

  • Lo stress ci priva di ciò che ci piace

    È risaputo che lo stress cronico può influire pesantemente sul nostro comportamento, portando a problemi come la depressione e un ridotto interesse per cose che in precedenza ci davano piacere. Ora gli scienziati hanno la prova che un gruppo di neuroni, chiamati POMC in base alla sostanza che produrrà ormoni peptidici, diventa iperattivo dopo l’esposizione cronica allo stress. L’iperattività di questi neuroni è alla base di alcuni problemi comportamentali. In particolare una equipe di ricercatori del Medical College of Georgia ha esaminato l’attività di questi neuroni che si trovano in una regione particolare del nostro cervello; l’ipotalamo, struttura chiave per funzioni come il rilascio di ormoni e la regolazione della fame, della sete, dell’umore, del desiderio sessuale e del sonno, in risposta a 10 giorni di stress cronico e imprevedibile.
    Lo studio condotto sui topi ha mostrato come i fattori di stress aumentavano l’attivazione spontanea di questi neuroni POMC nei topi maschi e femmine, Inoltre l’attivazione diretta di questi neuroni ha provocato l’apparente incapacità di provare piacere, chiamata anedonia, e disperazione comportamentale, che è essenzialmente depressione.

  • Autismo: un gene alla base dei comportamenti sociali

    La socialità è fondamentale in tutto il regno animale e particolarmente nella nostra specie. I neonati da subito fissano lo sguardo su immagini simili a volti umani più a lungo rispetto ad altre immagini e per tutta la vita, questa spinta sociale innata funge da base per lo sviluppo di comportamenti sociali adulti complessi e versatili. D’altra parte, la disfunzione sociale è un segno distintivo di diversi disturbi dello sviluppo neurologico come il disturbo dello spettro autistico. L’insorgenza dell’autismo può essere fatta risalire alla fase prenatale che coincide con lo sviluppo del comportamento sociale. Uno studio condotto dalla University of Utah Health e pubblicato su Science Advances ha identificato un gene, TOP2a, che potrebbe essere importante per lo sviluppo dei comportamenti sociali. Utilizzando un piccolo pesce come modello animale (lo zebrafish) i ricercatori hanno osservato come la soppressione del gene TOP2a tramite farmaci somministrati in fase embrionale determina una drastica riduzione del comportamento sociale alla nascita (in pratica i pesci mutanti per questo gene non cercano la compagnia di altri pesci) indicando ancora più nettamente come l’interazione tra genetica ed ambiente sia cruciale nello sviluppo del disturbo dello spettro autistico